Giorgio Moroder: From Here to Eternity

La traiettoria mitteleuropea di un nuovo esperanto musicale: Giorgio Moroder, un artista d’avanguardia. È riduttivo parlare solo di dance, perché egli appartiene a coloro che hanno saputo trascendere il genere di riferimento per guardare al futuro. Vi sono musicisti in grado di ridefinire le coordinate di una tipologia di musica; Moroder invece ne è stato un creatore. Supera la dicotomia ascolto/ ballo e mette d’accordo chi ha diverse estrazioni musicali.

“From Here to Eternity è più di un capolavoro; è la sintesi fra l’elettronica dei Kraftwerk ed i viaggi interstellari floydiani…”

From Here to Eternity è più di un capolavoro; è la sintesi fra l’elettronica dei Kraftwerk ed i viaggi interstellari floydiani, il calore della soul music e la classica mitteleuropea. Perché nell’attitudine – in ambito puramente iconologico si intende – si percepiscono quegli echi che non solo ci riallacciano al krautrock degli anni 70 ma si spingono ben più lontano, fino a riabbracciare l’afflato romantico dei grandi compositori tedeschi. Originario della Val Gardena, fin dalla culla si è sentito vicino a quel mondo germanico che l’avrebbe marchiato a fuoco nei decenni a venire. Fu proprio grazie al trasferimento a Monaco di Baviera che ebbe la scoperta delle enormi potenzialità del sintetizzatore e l’intuizione geniale per la creazione di un nuovo sound.

Ascoltando l’album, si comprende come il dinamismo delle autostrade elettroniche disegnate dal quartetto di Düsseldorf si è fatto carne e sangue per traiettorie notturne a bordo di bolidi rombanti lungo viali di periferia illuminati da lampioni in parata. E’ il movimento di una cinghia di trasmissione che si trasforma in energia: nasce la hi-energy! John Travolta buca lo schermo per diventare però un eroe europeo romantico e decadente di fine Secolo Breve, con la testa già proiettata al duemila. Si coglie infatti l’aura da declino di fine anni 70, tra nichilismo punk e la morte di tutti i sogni e di tutte le utopie. La release si struttura nelle suite omonima divisa in quattro parti ed in altri tre brani. La prima è il manifesto dell’arte moroderiana: troviamo il synth con il suo battito in 4/4 ma anche quella punta crepuscolare che farà la fortuna di John Foxx e Gary Numan di lì a poco.

La title track e la sua reprise sono l’inizio del tragitto serale accompagnato da luci artificiali, mentre Faster Than The Speed of Love, con la sua voce filtrata, ritrae il futurismo riproponendolo anche nelle altre tre song. First Hand Experience in Second Love è una cristallina discesa nel buio, vestita di un’eleganza impregnata di spleen metropolitano.

I’m Left, You’re Right, She’s gone parte con il suo ritmo robotico per poi trasformarsi in uno splendido battito electro-soul in direzione minimalista, dove il basso pulsante regge i coretti femminili. Too Hot to Handle fa sognare e và in heavy rotation per giorni a venire dentro la propria mente; si impone con il suo pompare ritmico cui subentra il vocoder per disegnare un quadro musicale dai toni quasi caraibici; è la notte che incontra la luce dei paesi caldi con la mediazione del soul afroamericano. From Here to Eternity è l’atto demiurgico sonoro. Gli epigoni in futuro saranno molti ma Moroder per l’elettronica dance oriented ha rappresentato ciò che Hendrix fu per l’approccio alla chitarra: tanti seguirono le sue orme ma nessuno riuscì ad eguagliarlo.

Marco Fanciulli per Frequencies.eu

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