Il futuro del Partito Democratico è anche il futuro del paese

La fine di nessun partito in Italia ha mai decretato la fine del Paese, e nemmeno sarà così questa volta. Eppure il destino della politica italiana e dei suoi riferimenti, soprattutto atlantici, è legato a doppio filo al destino del PD

Ad inizio 2023 capiremo subito quale sarà il destino del Partito Democratico: il 22 gennaio è l’ultimo giorno per presentare le candidature alla Segreteria Nazionale, fino al 12 febbraio si voterà nei Circoli per quelle candidature, e le prime due arrivate andranno a contendersi la leadership, anche fuori dal recinto di iscritte e iscritti, nei gazebo del 19 febbraio.
Tolti i -per ora 4: in ordine alfabetico, Stefano Bonaccini, Gianni Cuperlo, Paola De Micheli, Elly Schlein- candidati alla Segreteria, davvero poche sono le voci interne al PD che abbiano osato usare parole di speranza per ciò che verrà dopo il 19 febbraio.

Certo, si parla innanzi tutto del destino del Partito Democratico. Ma il suo destino influenzerà, e già influenza, quello dell’intero quadro politico italiano: per nome, per storia, per assetto e per destino.

Gianni Cuperlo si è candidato appena prima di Natale, motivando la propria scelta anche con un motivo chiaro e tragico: il PD non può fare la fine del Partito Socialista Francese di Hollande. Chi? Cosa? Ecco, appunto. Se pensiamo alla Francia ci vengono in mente i nomi di Emmanuel Macron e Marine Le Pen: ben giusto. Ma non sempre ci ricordiamo che lì un elemento portante del sistema è clamorosamente collassato fra 2017 e 2018: il Partito Socialista, che annovera nella storia tra le sue fila donne e uomini come Francois Mitterand, Lionel Jospin, Michel Rocard, Laurent Fabius, Francois Hollande, Segolene Royal, Manuel Valls, Anne Hidalgo (attuale Sindaca di Parigi), inizialmente per formazione il Presidente Emmanuel Macron. Alle Elezioni Presidenziali del 2017 il PS crollò al 6,44% dei consensi, il suo minimo storico dal 1969, nel 2018 ha venduto la propria storica sede parigina per trasferirsi in una cittadina fuori città, in quello stesso anno il Movimento Giovanile del Partito se ne è clamorosamente distaccato fuoriuscendone, e ad aprile scorso (10-24/04/2022) Anna Hidalgo, candidata alla Presidenza della Repubblica Francese, ha raccolto un disonorevole -per la storia sua e del partito- e misero 1,75% dei consensi, pari a poco più di 600mila voti in tutta la Francia.

C’è questo rischio anche per il Partito Democratico? I più ottimisti, primi tra tutti gli altri 3 candidati alla Segreteria dicono assolutamente di no. Eppure… Diamo uno sguardo allo stato dell’arte al momento.

La destra, vera, al Governo, nonostante mille difficoltà dovute alla prima vera volta alla guida del Paese e con le chiavi in mano dei Ministeri che contano davvero, regge, tiene botta e pare indirizzata verso una navigazione -per taluni a vista, ma pur sempre- di lungo respiro. E la barra del timone della ammiraglia è più spostata a destra che al centro.
Forza Italia fatica, non c’è che dire. Antonio Tajani, leader in pectore, fatica a tenere il passo verso una destra amica sì del mondo delle Partite IVA, ma non certo europeista né solidaristica. La tradizione del Partito Popolare Europeo pare opacizzarsi.
E anche quando si parla al “popolo della partite IVA”, beh, il volto e la voce che lo fanno non sono più quelle dei forzisti ma quelle della Lega e di Fratelli d’Italia.

Il nuovo polo di centro -“nuovo” di certo né come formula né come idea, ma quantomeno nei suoi interpreti- costituito al momento da Italia Viva di Matteo Renzi e Azione di Carlo Calenda ha un buon potenziale, ma annaspa. Non sa bene quanto tendere la mano al Governo Meloni, ma di certo non vuole passare -e non passa, non c’è che dire- per una sinistra di opposizione e di lotta.
L’opa su Forza Italia -o quel che ne resta- è sempre più evidente, e non potrebbe essere altrimenti. Se venissimo catapultati indietro di 20 anni, Renzi e Calenda sarebbe alfieri di Forza Italia. Non certo quanto a capacità di sottomissione ad un leader altro da sé, quanto invece a proposte e prospettive di pensiero, orizzonti ideali e parte di popolo ed elettorato cui rivolgersi principalmente.
Se volessero mostrare prospettiva di sguardo vera ed efficace, Renzi e Calenda lascerebbero emergere personalità e idee diverse da loro stessi, mostrando che nel nuovo polo vi è spazio per la pluralità, di idee e proposte e quindi anche di personalità e pensiero. Hanno di fronte questa sfida: allargare per allargarsi, cedendo in leader assoluta, o rimanere wild cards di un raggruppamento del 10%: buono per disfare i governi, meno per farli. L’esito della sfida al momento pare fissato alle Elezioni Europee del 2024, termine entro cui hanno preso l’impegno di costituire un soggetto unitario. Loro che “6 milioni di volte” (parole di Calenda) non sarebbero mai andati assieme fino a luglio scorso.

Se proprio il 20 luglio 2022 in tantissimi avevano sentenziato la fine del Movimento 5 Stelle, oggi con onestà si dovrebbero ricredere e dire anzi che quella è stato il momento primo di rinascita del Movimento. Da allora di nuovo imbracciata la navigazione in solitaria, né con la destra né con la sinistra, che ha fatto recuperare consensi al Movimento, ora stabilmente al secondo posto nei sondaggi elettorali con più del 17%, con un trend del tutto opposto a quello del Partito Democratico: quanto più questo scende, tanto più il Movimento sale. Non è una ipotesi peregrina il travaso di voti dall’uno all’altro.
E presso l’elettorato, quello popolare, che parla come mangia ed intercetta meglio di chiunque altro il vero mood nazional popolare, la percezione è davvero semplice e chiara: il M5S di oggi incarna meglio del PD le istanze del popolo del CentroSinistra. Se si cancella ciò che è avvenuto prima del 2019, ciò se si considera il Movimento 5 Stelle a guida Giuseppe Conte, fosse a Palazzo Chigi o vero leader, l’elettore medio del PD oggi è ben tentanto di spostare il proprio voto dal PD al Movimento…di Conte.

Cosa ne sarà del Partito Democratico, quindi, è elemento di curiosità ed interesse di tutto l’arco politico italiano, e non solo.

Certo la scelta del/la Segretario/a avrà anche le sue ricadute. Se è facile immaginare che Schlein come Cuperlo riaprirebbero il dialogo con l’intera sinistra, Movimento 5 Stelle compreso e forse perfino in primis; è altrettanto intuibile che gli occhi di De Micheli come di Bonaccini si volgerebbero invece al “polo di centro” di Renzi e Calenda.
E’ ben vero: il PD sembra avere una pecca originale insanabile. Vale a dire l’ansia di dover sempre dire per prima cosa con chi andare e solo dopo perché e con quali idee. E così il Partito si trova sempre a scegliere su un volto nuovo o almeno diverso, come se la figurina più recente potesse nascondere e far dimenticare quella santificata fino a poco tempo prima.
Eppure le opportunità per un dibattito ideologico, anche profondo e forse d’antan ma pur sempre fruttifero, vi erano eccome: le candidature si sarebbero dovute fare il 22 gennaio, dopo un non breve dibattito sulle idee e i valori del PD all’alba del 2023. Invece diversi hanno rotto gli indugi, o candidandosi o dichiarando il proprio sostegno per un candidato. E così è partita la gara del nome, più e prima che quelle delle idee. Occasione sprecata? Quale che sia l’esito delle primarie, pare potersi già ora dire di sì. Non tutto è ancora perduto.

Non solo sul quadro italiano si diceva, ben vero. E’ evidente infatti che fino a febbraio-luglio scorso le forze internazionali abbiano avuto in Italia sostanzialmente tre-quattro interlocutori e punti di riferimento, siano esse persone o gruppi politici.

Berlusconi è certamente stato per 20 anni un punto di riferimento per l’Atlantismo: la sua avversione al comunismo, più o meno esasperata così come più o meno memata, è sempre stata affidabile. Eppure la guerra in Ucraina -nonché anche l’età del vecchio leader- ha evidenziato la crepa russa, di natura amicale del tutto personale tra il Cavaliere e Vladimir Putin. Biden e il Segretario di Stato Blinken non hanno avuto parole tenere nei suoi confronti. Lui che indubbiamente a Pratica di Mare del 2002 riuscì in qualcosa di impensabile da decadi: la stretta di mano tra USA (George W. Bush) e Russia (Vladimir Putin).

Così come prima Mario Monti, ancora di più Mario Draghi è stato il vessillifero dell’atlantismo -ed anche dell’europeismo, fattore da evidenziare e non scordare, anche perché ora palesemente mancante- in Italia e in Europa. La sua uscita di scena toglie dal campo un punto di riferimento chiaro e straordinario per gli USA e l’Europa Unita, non solo in Italia, ma in tutta Europa.

Luigi Di Maio, tanto schernito in Italia, evidentemente troppo e ben al di sopra di quanto in realtà si sia saputo far stimare oltreoceano e non solo, è clamorosamente uscito di scena, ischerzato pure dal suo traghettatore Bruno Tabacci. L’ex 5 Stelle, invece, in questi anni alla VicePresidenza del Consiglio e al Ministero degli Esteri, era riuscito ad imbastire e tessere rapporti e rispetto internazionali degni di un alto burocrate funzionario della DC dei tempi d’oro. Interlocutore diretto della linea atlantista, oggi se ne sente la mancanza. Non presso l’elettorato, manco a dirlo, ma presso le scrivanie d’oltreoceano.

Il Partito Democratico, d’altronde, fino ad oggi è stato interlocutore certamante mai asservito ma nemmeno mai ostile alle forze atlantiste. Se la storia del PCI lo dovrebbe vedere convergere su Mosca, mentre quella della DC su Washington, è evidente che la storia più recente hanno fornito sempre maggiori occasioni per far indicare ai leader del PD almeno alcune figure iconiche statunitensi e atlantiste quali fari della propria azione politica e del proprio pensiero. Da Tony Blair, a Barack Obama, a Jeremy Corbin, a Kamala Harris a Joe Biden. Le fortune anche di costoro sono state alterne, sì, ma la voce atlantista ha risuonato forte al Nazzareno da sempre.
E se domani il PD dovesse crollare, cosa resterà dei contatti d’oltreoceano in Italia?

Ecco, lo scenario non è di facile risoluzione, né qui ci si azzarda ad offrirne una chiara, eppure tutto ciò pare sufficiente per poter dire che del destino del Partito Democratico non possono certo interessarsi solo costoro che lo hanno a cuore, ma davvero tutto lo scenario politico e tutta l’opinione pubblica italiana.

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