Il fatidico momento della elezione del/della nuovo/a Presidente della Repubblica Italiana si sta avvicinando. Ed allora come poter ora -ed in conclusione di questa serie di articoli sul Capo dello Stato, a metà tra politica e storia della Repubblica- non soffermarsi -almeno un poco: non più di quanto necessario, ma quanto sufficiente per essere minimamente esaustivi- sui discorsi di fine anno dei Presidenti della Repubblica?! E’ un elemento a metà tra le categorie del pop e della nostalgia: concediamocelo, suvvia, dulcis in fundo!
Cosa mai ci sarà da dire e raccontare sui discorsi dei Presidenti della Repubblica? Su cosa mai si potrà riflettere a partire da quei discorsi?
Domande lecite. Vediamolo assieme, se davvero una analisi di quei discorsi non si rivela foriera di elementi utili a comprendere alcuni arcana della Presidenza della Repubblica e della autorevolezza di cui magicamente ha sempre goduto, ancora oggi gode ed auspicabilmente continuerà a godere fino a quando permarrà la Repubblica Italiana.
Badate che ogni elemento condiviso, pur sembrando di per sé forse secondario, andrà ben a ricomperre il quadro della impressione che più diffusamente si ha di quel particolare Presidente della Repubblica: smentitemi.
De Nicola non tenne mai alcun “discorso di Capodanno”. An passant, tutti ci riferiamo così al discorso di fine anno del Presidente della Repubblica, ma più corretto sarebbe dire “discorso di San Silvestro”, poiché Capodanno è l’1 gennaio, mentre il discorso è sempre il 31 dicembre, e da anni attorno all’orario di cena). Ma dicevamo che De Nicola non ne tenne alcuno: e per forza, stette in carica da gennaio a giugno 1948.
In realtà la prassi del discorso di fine anno fu inaugurata nel 1949 dal Presidente Einaudi. Non possiamo non ripeterlo: nel 1949. E sappiamo bene tutti -ma occorre sottolinearlo- quanto impatto la “visione a reti unificate” del discorso abbia avuto ed abbia tutt’oggi, e quindi quanto almeno Einaudi sia in debito con la storia sotto questo aspetto. Per dirla da millenials: “e chi se lo ricorda Einaudi?!”. Appunto. I suoi discorsi sono i più brevi, se da ora in poi prendiamo in considerazione come parametro non tanto la durata in minuti (variabile del tutto soggettiva in un discorso e forse perfino irripetibile fosse il medesimo a rileggerlo), quando il numero delle parole che vi sono contenute e pronunciate. Einaudi, appunto, ha la media di parole più bassa di tutti i Presidenti che gli sono succeduti: 197 parole a discorso, e detiene anche il record di brevità per singolo discorso: 148.
La lunghezza media di tutti i discorsi di fine anno dei Presidenti della Repubblica Italiana è di circa 1700 parole per ciascun discorso, e decisamente sotto questa media sono stati i discorsi di Einaudi, Gronchi (811 parole), Segni (882), Leone (1037) e Saragat (1181). Possiamo in ciò trovare conferma sia del periodo di crescita economico, quindi positivo, per il Paese, certo alle prese con le difficoltà dello sviluppo, anche esplosivo sotto tanti punti di vista perfino non indolori, ma appunto di sviluppo. Il primo segnale (o la cartina di tornasole? E’ un bel dilemma) dell’accendersi del clima politico sociale ed istituzionale nel Paese è rinvenibile nella lunghezza (1889 parole) del discorso di Saragat nel 1970, l’unico sopra la media dal 1949 al 1979, e d’altronde il Presidente non potè certamente non citare l’Autunno Caldo e i primi tragici episodi di violenza terrorista.
Se ben sappiamo che a partire da metà degli anni ’70 e fino a metà degli anni ’90 il nostro sistema -ma anche il sistema geopolitico mondiale intero- fu percosso e attraversato da diverse e successive fasi di messa alla prova di tenuta se non in piena crisi (dagli Anni di Piombo, alla fine della Guerra Fredda e la rottura del sistema bipolare mondiale, a Tangentopoli), non ci possiamo stupire nel registrare un significativo aumento di lunghezza di ciascun discorso di fine anno -e quindi conseguentemente della loro lunghezza media- dei Presidenti della Repubblica di quelle decadi: in ordine di mandato Pertini, Cossiga e Scalfaro. La media dei discorsi di Pertini fu di ben 2086 parole, che arriva terzo in questa particolare classifica.
Al quarto posto troviamo Cossiga, la cui media di parola sfiora quota 2000, ma di cui non si può non citare il fulminante -e brillante: se avete occasione, cercatelo, ora su YouTube!- discorso di fine 1991, il cui passaggio nodale fu: “Non certo mancanza di coraggio o peggio resa verso le intimidazioni ma il dovere sommo, e direi quasi disperato, della prudenza sembra consigliare di non dire, in questa solenne e serena circostanza, tutto quello che in spirito e dovere di sincerità si dovrebbe dire; tuttavia, parlare non dicendo, tacendo anzi quello che tacere non si dovrebbe, non sarebbe conforme alla mia dignità di uomo libero, al mio costume di schiettezza, ai miei doveri nei confronti della Nazione.”
In pratica Cossiga disse: “care concittadine e cari concittadini, è meglio se non vi dico alcunché…perché se parlassi…ah, se parlassi…”. Fu l’ultimo indizio della sua presunta follia, dissero i malevoli. Poi però esplose Tangetopoli e la Prima Repubblica crollò, tra infamie e ribaltamenti della storia. E che Cossiga già sapesse molte cose non è mera ipotesi, ma certezza con grado di probabilità elevatissimo.
Si sente dire e ripetere che quel discorso sia stato “il più breve della storia”, eppure ora sappiamo che non lo è davvero, almeno stando al dato numerico delle parole: 418. Ma nella vulgata come tale è passato, certamente anche per l’impatto fortissimo che ebbe sin dalla sua pronunzia.
E infine, a dover guidare la nave della Repubblica in quei vorticosi anni di tempesta, fu Scalfaro, che tra tutti i Presidenti registra -e con significativo distacco!- la media più alta: 3448 parole. Non è semplice affermarlo con incontrovertibilità, ma possiamo dire che 3500 parole corrispondono a circa 20-25 pagine di un libro, così per avere una idea di massima. E sappiamo bene tutti quanto ci vuole per mettersi ad approcciare un libro oggigiorno mediamente.
Scalfaro, inoltre, vanta sia il primato per il discorso con più parole (ne ha contate addirittura 4905 quello di fine anno 1997), sia il detenere saldamente anche il resto del podio (4181 nel discorso del 1995, 3870 in quello del 1998), sia il “merito” -se così vogliamo intenderlo- di essere l’unico Presidente a non scendere mai sotto la media di tutti i discorsi presidenziali di fine anno, che ricordiamo essere a quota 1700 parole. Certamente fu la natura dell’uomo, eppure chi segue la politica, fosse anche solo per passione, non può non conoscere l’espressione “tintinnar di manette”: ebbene, fu coniata proprio da Scalfaro, e proprio pronunciata per la prima volta nel discorso record del 1997. Si conceda solo una nota: questa espressione, “tintinnar di manette”, fu in analogia ed assonanza evidente con quella usata retrospettivamente da Pietro Nenni, “tintinnar di sciabole”, per indicare il clima che si visse nel 1964, col Piano Solo nelle retrovie e, come ricordato negli scorsi articoli di questa serie, con l’allora Presidente della Repubblica che ci rimise la salute (e forse prima ancora la rispettabilità).
Come poter sorprendersi che i discorsi di Ciampi e di Mattarella, i Presidenti assurti sin da subito nell’immaginario collettivo a figure sia autorevoli sia amichevoli, segnino la aurea mediocritas, la media aurea, dei discorsi tutti: 1748 parole in media per Ciampi, 1702 per Mattarella.
Sarà anche un caso, ma come non pensare ai loro volti come quelli delle figure che maggiormente nei propri anni al Quirinale sono state portatrici di sicurezza e serenità?
Gli anni in cui a traghettare la Repubblica è stato Napolitano non sono certo stati semplici, anzi, assai ingarbugliati, e del lavoro di sgrossatura e di sgarbugliamento prima, ritrovata soluzione poi, sono ben traccia e cartina di tornasole anche i suoi discorsi, con una durata media di 2228 parole, che lo colloca al secondo posto di questa speciale graduatoria. E d’altronde, quale che ne sia il giudizio, il doppio mandato di Napolitano è ben stato indubitalmente assai incisivo nella storia della Repubblica, dei Partiti e del Paese tutto: la durata dei discorsi è ben anche la prova del suo desiderio (e della sua riuscita) di incidervi.
Ma forse offrire ora, ex post, queste chiavi di lettura è troppo facile: chissà se se ne sarebbe detto ugualmente ai tempi della propria pronuncia! Certamente lo sguardo lungo offerto da un poco di distacco temporale dal momento in cui i fatti si sono svolti e le fasi politiche si sono concluse, aiuta sensibilmente per offrire una lettura per certi versi più consapevole e per altri anche un poco di forzatura.
Osserviamo allora i discorsi dei Presidenti con una chiave di analisi che è più sofisticata quanto alla propria elaborazione ma che ha come focus proprio la leggibilità di un testo in lingua italiana: ci si riferisce all’indice Gulpease. L’indice tiene conto di due variabili: non più il numero di parole, ma la lunghezza delle parole e la lunghezza della frase rispetto al numero totale delle lettere del testo. Diciamola più semplice: è come quando alla scuola elementare l’insegnante ci ha impartito la fatidica raccomandazione: “scrivete pensierini semplici soggetto, verbo e complemento”. E chi ha mai osato smentire la bontà di quella raccomandazione: poi magari non se ne è ancora imparato a farne buonuso, presenti autori inclusi…
Questo indice è davvero utile perché è capace di indicare quanto un discorso sia comprensibile a persone che abbiano raggiunto un certo grado di formazione scolastica.
Il dato sorprendente -o forse nemmeno troppo? Sapete, col senno di poi…- è che i “migliori” discorsi secondo questo indice sono quelli di Scalfaro, Pertini, Ciampi e Mattarella. Forse il primo ha scontato più la cattiva immagine di quegli anni, ma certamente quei discorsi hanno eccome aiutato i Presidenti Pertini, Ciampi e Mattarella ad entrare nel cuore degli italiani.
E a controprova non sorprende nemmeno che invece i discorsi di Cossiga e Napolitano siano quelli meno facilmente comprensibili dal popolo (tenuto conto che l’alfabetizzazione italiana nel secondo dopoguerra era a livelli minimi, e quindi l’indice pare poco indicativo per quegli anni). Discorsi di Presidenti che certamente hanno segnato, profondamente, la propria epoca ma che non hanno fatto breccia nel cuore delle persone come i precedenti tre.
E se allora, infine, l’attesa per conoscere il nuovo o la nuova Presidente della Repubblica è davvero tanta, possiamo dire che certamente questi sarà messo subito a dura prova dalle emergenze e dalle contingenze, ma che forse un primo e sommario ma consapevole giudizio su che tipo di Presidente sarà lo potremo dare solo la sera del 31 dicembre di questo anno.
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