FISG, Gios: “Realizzato un piano strategico per il prossimo quadriennio”

La nostra intervista esclusiva al presidente Andrea Gios sui progetti a medio-lungo termine della Federazione

Andrea Gios

Lo scorso weekend il Consiglio della Federazione Italiana Sport Ghiaccio si è riunito all’Hotel Gaarten di Gallio per la prima seduta dopo la rielezione del presidente Andrea Gios, che abbiamo intervistato in esclusiva.

Di cosa si è parlato in questa prima riunione del Consiglio dopo la sua riconferma alla guida della FISG?

Il tema è l’organizzazione dei prossimi quattro anni. Abbiamo nominato i responsabili dei cinque settori e poi si è cominciato a discutere del metodo di lavoro, della ripartizione tra ruoli strategici e ruoli operativi.

Abbiamo introdotto inoltre una novità interessante: in accordo con Deloitte, andremo a realizzare un piano strategico per lo sviluppo della nostra Federazione nei prossimi 4-8 anni. Si tratta di uno strumento innovativo che nessuna federazione mi pare abbia attualmente in Italia, ma viene usato spesso all’estero e rappresenta un po’ il piano industriale di un’azienda. Quindi individueremo le linee guida che dovremo seguire per raggiungere degli obiettivi precisi che fisseremo. Proprio oggi abbiamo deciso che debba essere un piano bottom-up, cioè un piano che nasce dalle società, dagli sponsor, dai tifosi e dagli appassionati, per cui partirà con un’indagine a tappeto fra le società, fra gli atleti per capire cosa si aspettano dalla nostra federazione per i prossimi anni e quali siano le loro priorità. Un piano che, come dicevo, verrà fatto in collaborazione con Deloitte, partner fondamentale, che dovrà darci le linee guida per il futuro.

Quali sono i progetti che state attivando in previsione delle Olimpiadi? L’Altopiano farà la sua parte in qualche modo?

Bisognerà capire quali siano le piste e le strutture più idonee, anche perché qui parliamo di atleti di altissimo livello. Per esempio, per fare lo short track serve uno stadio con delle balaustre soffici, che non c’è ad Asiago; per l’hockey su ghiaccio servirà una struttura con almeno due piste e delle palestre, che non c’è ad Asiago; la pista lunga ovviamente non si può fare ad Asiago perché manca l’anello e il pattinaggio artistico è un po’ particolare perché gli atleti non lavorano in nazionale, ma ognuno nel suo club. Quindi bisogna capire se l’Altopiano sarà in grado di dotarsi di strutture idonee ad ospitare atleti che si preparano alle Olimpiadi.

A fine aprile Asiago ospiterà il mondiale: potrebbero sorgere problemi organizzativi, visto che tra le squadre c’è anche l’Ucraina?

La Federazione Internazionale ha sviluppato un progetto sull’Ucraina: gli atleti sono in camp e si stanno allenando da dieci giorni. Sono stati in Repubblica Ceca, adesso si trasferiranno in Svizzera, a Lugano, e poi arriveranno qui il 24 per giocare. Quindi l’Ucraina è una squadra che arriverà più preparata di tutte le altre, con un mese circa di allenamento alle spalle che nessun altro fa.

Il tema delicato di questo mondiale saranno le procedure Covid, nel senso che la disciplina italiana per l’accesso agli stadi prescrive l’obbligo di vaccinazione con tre dosi di uno dei sieri riconosciuti dall’OMS. Abbiamo problemi con alcune squadre, tra le quali la Slovenia, perché alcuni atleti non hanno la triplice dose oppure hanno ricevuto vaccini non riconosciuti. Questo è un tema abbastanza delicato che stiamo discutendo con l’IIHF e di cui sono state informate le federazioni.

Un’italiana in finale di Alps Hockey League, l’Asiago, e una slovena, Jesenice: come vede questa serie di finale? E, soprattutto, quando pensa che la dirigenza del campionato transalpino passerà finalmente la gestione alla FISG o, eventualmente, alla federazione slovena?

Intanto è importante che ci sia una squadra italiana che arriva in finale contro lo Jesenice. L’Asiago rappresenta il meglio dell’hockey italiano nell’Alps Hockey League e si è guadagnato questa finale giocando bene, ottenendo ottimi risultati.

È nota la richiesta che la società dell’Asiago ha presentato per poter essere ammessa all’ICE Hockey League, che è una lega ad un livello più alto rispetto all’Alps Hockey League. Credo che la decisione, che non compete alla federazione italiana né a quella austriaca, ma ai club che costituiscono questa lega privata, dotata di un consiglio di amministrazione, verrà presa tra una decina di giorni.
Da quello che ho capito, ci sarebbe la volontà di ammettere l’Asiago, una società che ha una buona storia e una grande tradizione, però ci sono dei problemi che devono essere analizzati internamente e che non sono meramente sportivi ma organizzativi.

Per quanto riguarda invece l’Alps Hockey League, dal prossimo turno la dirigenza del Board Of Governance spetta all’Italia. Stiamo già discutendo con la lega per capire se ci suggeriranno una persona che possa entrare nel BOG per rappresentare gli interessi dell’Italia.

Asiago che, dopo Bolzano e Brunico, come dicevamo sta prendendo la strada dell’ICE Hockey League. La Federazione ha qualche progetto a medio-lungo termine per aumentare la platea di tesserati?

Per quanto riguarda la campagna di tesseramento, il piano strategico dovrà dirci questo: dovremo capire come fare ad aumentare il numero di tesserati e far fare più sport ai ragazzi, fermo restando che nel nostro sport abbiamo un vincolo fisiologico rappresentato dal ghiaccio. Noi possiamo fare sviluppo solo dove ci sono piste di ghiaccio e abbiamo un problema particolare, cioè che l’80% delle piste è stato fatto negli anni ’70 nelle località turistiche. Per cui abbiamo il paradosso che gli impianti dove vorremmo fare sviluppo sono in valli alpine, in alcuni casi dove ci sono paesi con 2 mila abitanti e dove nascono probabilmente dieci bambini all’anno. Se quegli impianti fossero trasferiti a Padova, Belluno o Vicenza avremmo la possibilità di fare sviluppo.

Vogliamo quindi capire come allargare il nostro territorio andando in zone dove ci sono una tradizione sportiva molto forte e una certa ricchezza, perché un altro problema degli sport del ghiaccio è che sono piuttosto costosi, a differenza di altri sport. Il Canada ad esempio, dove l’hockey è non solo lo sport nazionale ma direi quasi una religione, sta perdendo tesserati rispetto al calcio perché un bambino che gioca a hockey costa alla famiglia 5 mila dollari a stagione, mentre uno che gioca a calcio ne costa 150. Questa situazione di crisi economica anche in Paesi ricchi come il Canada sta determinando una flessione dei tesserati, un trend che preoccupa a livello internazionale.

Rientra nei progetti della FISG la riorganizzazione di una buona Serie A?

Il problema della Serie A è il più complicato, anche se il tema è molto semplice di per sé: noi vorremmo a tutti i costi realizzare il sogno di una Serie A italiana, ma per fare un campionato servono almeno 8 squadre, preferibilmente 10 o 12. Il problema che avevamo in passato è che non raggiungevamo mai le 8 squadre. Addirittura, in un paio di occasioni abbiamo dovuto pregare qualche società di iscriversi alla Serie A per avere l’ottava squadra; oppure, in altre condizioni, siamo stati ricattati da alcune società che ponevano come condizione la possibilità di avere dieci stranieri, senza la quale non avrebbero partecipato alla Serie A.

La bellezza dell’Alps Hockey League è che possiamo partecipare a un livello più alto anche se abbiamo meno di 8 squadre, come abbiamo fatto quest’anno. Con 7 squadre diamo la possibilità ai nostri club che vogliono investire e giocare ad un livello più alto rispetto alla Serie B di avere un contenitore in cui esprimersi.

Esiste una stratificazione per cui ogni campionato è vincolato dalle capacità delle società di poter investire per un livello adeguato. In parole povere, una società con un budget attorno ai 300 mila euro può giocare in Serie B, chi ha un budget tra i 500 e gli 800 mila euro può giocare in Alps Hockey League, e chi invece ha 2 milioni e mezzo può andare a giocare in ICE Hockey League. Una società con un budget superiore ai 7 milioni potrebbe giocare in KHL Hockey League.

Se noi avessimo la certezza che ci sono 10 squadre italiane che danno una garanzia, anche economica, di restare in Serie A per almeno quattro anni, non ci sarebbe nessun problema. Ma oltre allo zoccolo duro di sei o sette squadre, ci sono sempre delle società che non tutti gli anni hanno possibilità economiche e si ritirano.

 

Valentina Costantin
In collaborazione con Marco Stella

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