Clima: le vacanze “da sogno” sulla neve fra un po’ resteranno solo un sogno

Di che colore diventerà la “settimana bianca”?! Come quando e perché cominceremo a non poter più fare le vacanze sulla neve.

Non serve, purtroppo, l’occhio di un esperto per rendersi conto che quest’anno -con una progressione significativa negli ultimi anni- quelle strisce di terra che tagliano le montagne tra boschi e foreste che usualmente ogni inverno siamo abituati a indicare come “piste” sono invece risultate spaventosamente marroni e verdi.
Lo hanno mostrato le immagini delle gare di Coppa del Mondo di tutte le discipline degli sport invernali: nemmeno le telecamere, con inquadrature ridotte e focalizzate sugli atleti, hanno saputo celare all’occhio anche del telespettatore più disattento che appena al di là del limite del terreno di gara tutto era…nemmeno di colore autunnale, proprio color verde. Era se mai la neve -o meglio quella bianca striscia artificiale- ad essere fuori posto vedendo il panorama dei nostri monti d’insieme. Mancano due terzi del manto bianco sulle Alpi, mentre sugli Appennini si registra uno shockante -84%. Assurdo. Cosa sta succedendo?!

È uscita una interessante inchiesta di Chiara Beretta su Linkiesta nella sezione di Greenkiesta dal titolo spaventosamente duro: “Il futuro dello sci non esiste, e chi lavora nel turismo deve accettarlo”.

Inaccettabile, è pressoché inaccettabile che lo sci -il mondo degli sport invernali per sineddoche- non abbia un futuro: è un problema, oltre che emotivo e di aspettativa sociale, per una fetta non ristretta del turismo e del commercio del nostro Paese, e non solo della regione alpina, e non solo in inverno, ricordiamolo bene.

Accogliendo il tono sferzante e tragicamente pragmatico dell’inchiesta, è necessario sin da oggi cominciare a ripensare e riprogrammare la montagna, adoperandosi sin da subito per una riconversione turistica e commerciale che ha il sapore della rivoluzione.

E chi sarebbero questi “professoroni” dai toni così catastrofici? Eh, non proprio un nonnulla: lo dice l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMN), branca dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) che nel suo rapporto “Lo stato dei servizi climatici 2022” usa parole lapidarie, indicando il 2036 come l’ultimo anno in cui potranno svolgersi sport invernali sulle Dolomiti, in particolare la prima ad essere spacciata sarebbe la provincia di Belluno. E sì, per i meno ferrati in geografia, in provincia di Belluno c’è anche Cortina d’Ampezzo. An passant sede delle Olimpiadi Invernali del 2026 (dal 6 al 22 febbraio) assieme a Milano. In pratica ci sarebbero solo 10 anni per capitalizzare dai larghi investimenti che già oggi sono in attivazione. Ma poi: ma vogliamo mettere veder crollare il mito di Cortina come la location per eccellenza delle “Vacanze di Natale”? Ormai, anche grazie a non pochi film, è entrata nell’immaginario e nella cultura pop del nostro Paese. Un Natale senza Cortina innevata è come un Natale senza pandoro (o panettone, non sia mai!): non è vero Natale.

Le Olimpiadi Invernali si potranno svolgere solo in Groenlandia a partire dal 2050” sembra proprio farvi eco Mario Tozzi, geologo e divulgatore largamente noto al pubblico tv italiano. “In questi anni”, prosegue Tozzi legando la questione ad un problema ancora maggiore e -lo si conceda-più reale e preoccupante, “si è imposto l’innevamento artificiale per ovviare all’assenza di neve. E’ una pratica che consuma volumi d’acqua non più sostenibili. E’ un palliativo che non può fermare la tendenza: sempre meno neve sulle Alpi. Alla fine di questo processo non avremo più ghiacciai sulle nostre montagne e crescerà, durante l’inverno, il rischio di valanghe. Addio grandi classiche…”.

Altri dati scientifici a supporto della tragica realtà? Eccoli serviti.
Il CNR afferma che il 2022 è l’anno più caldo dell’ultimo trentennio climatologico di riferimento (cioè dal 1991 ad oggi), con una anomalia di ben +1,5°C rispetto alla media del trentennio. Nel dettaglio è +1,37°C nel Nord e ben +1,7°C nel NordOvest.
Il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico dell’ONU ha rilevato nel decennio 2011-2020 un aumento di 1,1°C dell’intera superficie terreste rispetto al XIX secolo, prima della Rivoluzione Industriale, e quindi, stando agli studi accademici, è il più caldo decennio degli ultimi 100mila anni. In Italia il surriscaldamento va ad una velocità più che doppia: dal XIX secolo si registra un +2,4°C di media. Spaventoso.

Ciò quindi si è tradotto in un ammanco nel 2022 di 50 miliardi di metri cubi d’acqua. Acqua che come ha ricordato Tozzi usiamo senza freno per riempire di neve articiali le nostre piste da sogno. Sogno infranto, parrebbe, davvero in poco più d’una decina d’anni. E che danni!
Ma quanta acqua serve per una pista? “Per l’innevamento di base (circa 30 cm di neve, spesso anche di più) di una pista di 1 ettaro, occorrono almeno un milione di litri, cioè 1.000 metri cubi d’acqua” espone con dovizia di dettagli il WWF, “mentre gli innevamenti successivi richiedono, a seconda della situazione, un consumo d’acqua nettamente superiore, il che corrisponde approssimativamente al consumo annuo d’acqua di una città di 1,5 milioni di abitanti. L’acqua viene attinta da torrenti, fiumi, sorgenti o dalla rete dell’acqua potabile, in un periodo di estrema scarsità”: ecco la sentenza lapidaria e difficilmente controvertibile del WWF.

Non si può non ricordare che non solo il WWF -col suo report “Alpi e turismo”- ma perfino l’OCSE tratteggiava questo scenario tragico già a partire dal 2007.

Tutto ciò si concretizza e converte in una crisi fortissima del turismo e di tutto il mondo che attorno a esso ruota. 50 milioni di euro è la stima per il comparto direttamente toccato dalla crisi dovuta alla assenza di neve, e ben 150 milioni di euro sarebbe il danno all’indotto più ampiamente inteso. Questo è emerso dal tavolo di lavoro e approfondimento approntato dal Ministero del Turismo, dalle Regioni e dai professionisti e gli stakeholders del settore. Non vi è alcun interesse a accendere falsi allarmi, tutt’altro se mai. Se si arrivasse allo stop degli sport alpini non parleremmo solo di “addio alle vecchie e buone abitudini”, ma di crisi economica nazionale. Si deve correre ai ripari.

Una idea chiara di cosa voglia dire “indotto” la fornisce Coldiretti: “La mancanza di neve in questa stagione crea difficoltà anche per l’agricoltura, secondo il vecchio adagio contadino ‘sotto la neve il pane’, ed insieme alla pioggia è importante per dissetare i campi resi aridi dalla siccità e ripristinare le scorte idriche nei terreni, negli invasi, nei laghi, nei fiumi. Gli effetti sono evidenti con i grandi laghi -anche di ciò la prova è evidente a chiunque li frequenti anche per poco- che hanno ora percentuali di riempimento che vanno dal 21% di quello Maggiore al 22% di Como fino al 36% del lago di Garda mentre il livello idrometrico del fiume Po al Ponte della Becca è a -3,1 metri.” Dati scientifici, certamente, ma tragicamente visibili ad occhio nudo, anche occhio non scientifico nudo.

Vogliamo dare uno sguardo di altro tipo? Diciamo industriale e di tanto decantata transizione ecologica? Reggetevi forte. Negli ultimi anni in Italia, nonostante il gran chiacchiericcio, più che dire ci sia stato un taglio delle emissioni di gas serra si dovrebbe dire che ci sia stato “un taglio del preventivato taglio” delle stesse: dal 2014 al 2021 la riduzione è stata solo del 3%. E nel 2022? Sono in crescita. Ah, bene.
Specularmente in Italia tra il 2015 e il 2019 le fonti di energia rinnovabile sono aumentate di un triste e striminzito 3%: ma come? Non eravamo il Belpaese? Quello del sole tutto l’anno? E dei nostri venti e terre (o mari) battute in ogni stagione? Se vogliamo deprimerci un poco possiamo considerare che nello stesso perioso la media dell’aumento di fonti rinnovabili nell’intera Unione Europea segna un vistoso +13%.

«L’Organizzazione meteorologica mondiale ha usato un modo forte e strategico di comunicare. Se avesse detto questa cosa in maniera diversa, il messaggio non sarebbe arrivato. Quello che dicono è vero: è pieno di pubblicazioni a supporto e di studi in atto», spiega a Linkiesta Antonella Senese, ricercatrice presso il dipartimento di Scienze e politiche ambientali dell’Università degli Studi di Milano, così come riferito nell’inchiesta di Greenkiesta. E forse, dopotutto, sarebbe bene allarmarsi. Non tanto e non certo per farsi prendere dalla disperazione o dall’agitazione infruttuosa, quanto invece per attivare energie e innovazioni al fine di correre ai ripari per tempo, smuovendo le reazioni pigre o negazioniste e sollecitando i sistemi di potere, istituzionali e più soft, ad una celere, immediata ed efficace proazione al cambiamento mentale e dell’intero comparto turistico montano.

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