Non è semplice per qualsiasi ambito culturale comprendere quando avviene un momento di cesura tra una fase ed un’altra. Eppure pare oggi tutto ad un tratto che abbiamo superato, in ambito cinematografico, l’era del serialismo, delle saghe, dei sequel e dei prequel, del Film 1, del Ritorno ed infine della Vendetta, per esser oggi invece irrimediabilmente perduti -direbbe forse qualche grande autore e maestro del Cinema hllywoodiano del calibro di Scorsese- nell’epoca degli “universi cinematografici”.
Ma come? Era solo un attimo fa che vedeva la luce la “trilogia sequel” di Star Wars. Trilogia fallimentare, al contrario della Trilogia prequel, che ha saputo fa amare e assurgere a mito, per dirne uno soltanto, Obi Wan Kenobi. Eppure, proprio prima durante e dopo l’arrivo sul grande schermo della dannata trilogia sequel, sono stati messi sul mercato prodotti di altro taglio e con altro target e differente ambizione, quanto meno sulla carta. Prima fu la volta delle serie animate di Clone Wars e Rebels, poi dell’idea -questa sì geniale- di interporre all’uscita dei tre capitoli sequel quella di altri due capitoli ad essa slegati, dei quali “Rogue One: a Star Wars story” rappresenta il meglio, da intendersi il meglio di tutta la fase sequel.
Infine, proprio attorno all’unico vero prodotto ben riuscito, sono stati inseriti più di un prodotto seriale, sia animato sia in live action: The Mandalorian, The Bad Batch, The Book of Boba Fett, Andor e ad agosto Ashoka.
Va riconosciuto che da decadi ormai il merchandising di Star Wars ha di gran lunga superato i confini del prodotto meramente cinematografico, eppure fino a qualche tempo fa, assai recentemente, avremmo definito Star Wars “solo una saga”. Oggi invece…vuoi mica dire che la “galassia lontana lontana” si è trasformata in un vero universo?
E che dire della epopea, per certi versi rivale, de “Il Signore degli Anelli”? Dopo il successo inarrestabile (e sul piano sia degli incassi sia dei riconoscimenti va indicata vincente con l’avversaria stellare) della prima -anch’essa- trilogia, la per così dire trilogia prequel de Lo Hobbit non ha sfondato, ma il mondo dei fan è aumentato grandemente, anche grazie ad una sortita importante nella nicchia dei nerd da miniature, riuscita eccome al mondo tolkeniano.
Lo scorso autunno abbiamo visto l’approdo sui ricchi lidi di Amazon Prime Video della serie “Gli Anelli del Potere”: non all’altezza delle aspettative, ma il piano dell’opera parla di almeno cinque stagioni.
E così si sottolinea un ulteriore elemento: le grandi piattaforme del demand stanno abbracciando appieno “l’universalismo dei mondi cinematografici”: così appunto Amazon con Prime Video ha fatto col Signore degli Anelli, e così ha fatto Disney attraverso Disney+ con la saga di Star Wars.
E se parliamo delle operazioni commerciali di Disney+ dobbiamo parlare ovviamente di quello che appare il capostipite di tutti gli universi cinematografici, non foss’altro perché esso dichiara i propri intenti nell’ambizioso nome autoconferitosi: il Marvel Cinematic Universe, abbreviatosi da sé come M.C.U.
E questo il primo progetto immaginato sin dalle sue origini nel 2008 come un “universo cinematografico”, ovvero dove più film -originariamente solo film-, aventi protagonisti, storie e trame differenti ed a sé stanti sarebbero infine convenuti in film collettivi poiché afferenti allo stesso universo cinematografico di riferimento. In parole povere: protagonisti e storie diverse ma che si svolgono tutte sulla stessa “Terra cinematografica” e che quindi possono anzi devono eccome incontrarsi e convergere.
E dopo, a partire dalla “Fase 4”, la “seconda trilogia” per usare termini ancora alla Star Wars, l’MCU si è arricchito del fronte delle serie tv, prodotti non più di stampo minore, con eroi di secondo piano e volti non tra i più noti di hollywood (come era stato invece nella precedente fase governata dalla piattaforma Netflix), bensì prodotti assimilabili a quelli per il grande schermo e, ecco la nota finale e di vero salto, egualmente necessari e da vedere ai fini della comprensione e della conoscenza complessiva dell’universo cinematografico in costruzione per mano del demiurgo, che nel caso dell’MCU risponde al nome del geniale -già assurto a guru- Kevin Faige (con tanto di auto parodia in uno dei suoi stessi prodotti).
E da due date relative all’MCU nasce lo spunto di questo sasso in piccionaia: il 23 aprile 2018 uscì l’anteprima mondiale del film Avengers: Infinity War, apice indiscusso -e forse molto a lungo- dell’MCU, a 10 anni dal primo prodotto lanciato con tanti interrogativi e nessuna certezza nel 2008 (Iron Man); ed il prossimo 5 maggio esce nelle sale Guardiani della Galassia – Volume III, non un capitolo conclusivo di alcuna fase, ma certamente l’ultima opera nella Casa delle Idee -altro soprannome della Marvel- per il regista James Gunn, divenuto da questo gennaio deus ex machina della DC, avversaria -acerrima nemica si potrebbe ben dire- appunto della Marvel, alla disperata ricerca di un ennesimo rilancio del proprio, e fino ad oggi fallimentare, universo cinematografico, il DC Extended Universo o D.C.E.U.
La contrapposizione MCU-DCEU potrebbe farci dire che è una cosa solo da cinecomics, cioè del “cinema dei fumetti” o meglio del settore cinematografico che si occupa delle trasposizioni sul grande schermo del mondo dei fumetti.
E invece pare proprio non possa dirsi così. Eh, no.
Per un verso perché se sono anche i denari a dettare la destinazione dei progetti, molti fattori indicano nettamente la direzione della “universalizzazione” dei mondi fantastici.
Ah, vi siete accorti che è stata annunciata l’intenzione di realizzare un nuovo progetto seriale della saga di Harry Potter?! Ecco: dire che si vuole realizzare un reboot, un rilancio, una nuova edizione, ora in forma seriale, della saga del maghetto più famoso di tutti i tempi -pure di Merlino pare ormai doversi dire!- ad una dozzina d’anni dall’uscita dell’ultimo film è l’affermazione che “l’universalismo” è un elemento preponderante del settore cinematografico del nostro tempo. E bisogna farci i conti.
E basta con le frasi del tipo “eh, ma così per stare al passo devo vedermi un sacco di film, serie e prodotti”: eh, sì, è così, sarà così, e forse sempre di più. Proprio e un po’ come coi fumetti. Eppure c’è sempre, e lo siamo, chi si dichiara fan di Batman o di Superman pur non avendo letto tutte -e magari non in ordine, e magari con buchi di cronostoria- le loro storie. Eppure ogni tanto che una nuova ripartenza, che azzera più o meno quanto accaduto. E già stato così, sarà quindi forse così ancora?
Si deve allora parlare di “universalizzazione” o “fumettizzazione”?!
Propenderei decisamente per “universalizzazione”, per una serie di motivi.
Il primo è che sono tanti e diversi i prodotti creati: film, serie tv, episodi singoli, nonché merchandising il più eterogeneo pensabile.
Il secondo è che deve assolutamente registrarsi peraltro un interessante azione di “predazione” operata dal gigante del settore giochi LEGO, che nel corso di questi anni ha saputo rendere pienamente inserito nella propria offerta di punta personaggi ed epopee rese celebri dal cinema e poi dalle piattaforme on demand: Harry Potter, Star Wars e l’MCU per indicare quanto già citato, ma se volessimo citare altro sarebbe subito da fare il nome di Jurassic Park (o meglio del “Jurassic World”, o…fermi un momento: del “Jurassic Universe”!).
Il terzo motivo è che questa operazione parte sì da prodotti originalmente fumetti, appunti Marvel e DC, ma ha contagiato anche saghe che dai fumetti non sono nate come Star Wars, e appunto l’altro già detto Jurassic Park.
Questo movimento -culturale difficile a dirsi, anche perché non sappiamo davvero se e quanto davvero radicato!- pare interessare anche altri prodotti sino ad oggi definite saghe.
Al mondo di Jurassic Park e Jurassic World, cioè l’utopia irresistibile di un pianeta Terra coi dinosauri, si è già fatto cenno: il primo film nasce dalla mente di Steven Spieberg, ma non dimentichiamo che è trasposizione dell’intuizione letteraria di Michael Crichton del 1990. Forse nemmeno il suo ingegno aveva potuto prevedere simile destino per quello che era all’inizio un unico romanzo fantascientifico solamente.
Non si può non citare il già rinominato MonsterVerse cioè l’universo cinematografico dei kaiju di derivazione giapponese americanizzatisi nel corso del secolo scorso, i cui miti già più volte portati sul grande schermo sono King Kong e Godzilla, incredibilmente -e con successo, almeno ai botteghini- riuniti su una sola Terra alternativa alla nostra. E se si parla di reboot, cioè rilanci e nuove ripartenze, chi più del mostro verde Godzilla?! 32 sono le pellicole giapponesi dal 1954 ad oggi, mentre quelle statunitensi sono meno della metà. E però l’oggettistica sui mostri ha già dilagato in tutto il mondo, non c’è che dire.
A metà maggio poi arriverà il decimo -che in realtà è l’undicesimo ma nell’effettivo nono non c’era il capo branco originale, alias Dominik Toretto, quindi non viene contato- capitolo della saga di Fast & Furious.
Se dal punto di vista della qualità forse tra quelli citati questo è il prodotto di minor valore, è da rilevare che è invece stato il primo ad inserire l’elemeno dell’ensemble cast -vale a dirsi un prodotto cinematografico o televisivo in cui tutti i principali interpreti hanno eguale importanza e appaiono sullo schermo all’incirca per lo stesso tempo, alternandosi, scomparendo e ricomparendo sullo schermo e nella storia lungo il tempo-, o meglio, il primo ad inserirlo nel corso degli anni e con prodotti cinematografici diversi quando invece prima era elemento interno ad un solo film o serie tv. Se infatti l’elemento dell’ensemble cast era divenuto ormai costitutivo di tantissime serie tv di succeso, ancora non era capitato venisse adattato al cinema così prepotentemente nel corso di una intera saga.
Ah, ah: fermo lì! Nessun controesempio: il primo Fast & Furious è del 2001, roba che ancora non era uscito il terzo capitolo di Matrix e qui già si ipotizzava l’ensemble cast. O forse no, forse è un fattore divenuto poi anche davvero pressoché portante dell’intera saga, fino ad oggi, a 22 anni dall’uscita del primo capitolo.
A completamento sull’universo (lo possiamo definire anch’esso così?!) di F&F va detto che è già previsto un altro ed -annunciato come- ultimo capitolo.
Nel frattempo sono già usciti due cortometraggi (nel 2003 e nel 2009, non solo film sin da subito quindi!), ed una serie animata “Fast & Furious – Piloti sotto copertura” consistente in 6 stagioni rilasciate su Netflix tra il 2019 e il 2021 e avente protagonista non Dominik ma Tony Toretto, cugino del “supereroe” di questo “universo”, nonché appunto lo spin-off “Hobbs & Shaw”, nono/non-nono capitolo della serie.
Così come per gli altri “universi” cinematografici, anche in questo caso LEGO è arrivata a digerire nel proprio paniere di offerta le automobili made in Fast & Furious.
Ma c’è anche di più: già Hot Wheels, leader mondiale nella produzione di “automobiline” aveva ovviamente ed astutamente realizzato una propria linea adattando le belve della strada dell’universo F&F: ecco un elemento in più degli altri universi citati.
Concludere l’analisi e la riflessione appare opera titanica, non c’è che dire, ovviamente: è elemento ontologico dell’“universalizzazione” cinematografica!
Più ci si pensa e più vengono in mente esempi comparabili: non è vero?!
Beh, se è così, vorrà ben dire che questo movimento, questa tendenza allora è davvero registrabile ed interessante il settore cinematografico del nostro tempo. Vale a dire l’evoluzione dal mondo delle saghe a quello degli universi.
E le case di produzione, soprattutto quelle con piattaforme on demand, sembra lo abbiano fiutato da tempo. Che ne sarà del cinema di un tempo?
A proposito: è mai esistito? E se sì, a cosa ci si riferiva propriamente?
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