Vent’anni dal G8 di Genova: la lezione che può ancora dare oggi a tutti noi

Sono passati vent’anni da G8 di Genova. Ben più di quelli passati dalla Caduta del Muro di Berlino nel 1989 a quello sciagurato G8 nel 2001.
Sono anni che Papa Francesco ha posto la questione della “casa comune” al centro del dibattito Sociale della Chiesa. Greta e le tante migliaia di giovani unitosi nel movimento dei “Fridays For Future” sono riusciti a far sentire la voce di una generazione che non solo chiede “rispetto per la natura”, ma pretende oggi risposte concrete. Proprio in questi giorni l’Unione Europea sulla spinta della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen sta per varare misure tese a garantire lo stop della produzione di auto a combustili fossili entro 15 anni. Tragicamente nei giorni passati un evento di portata inusitata, in quei luoghi e di quelle proporzioni, ha causato allagamenti, inondazioni, devastazione, desolazione, tante vittime e tanti danni tra Germania, Austria, Olanda e Belgio.

Proprio il tema della Sostenibilità Ambientale era una delle cause più forti sostenute, rivendicate e talvolta proprio urlate dai movimenti che si presentarono al G8 di Genova nel 2001 come partecipazione civile.
Anche le Disuguaglianze erano forte istanza portata avanti dai giovani di allora, soprattutto declinate nello squilibrio tra risorse e ricchezze dei Paesi del Nord del mondo o, in altra chiave, del Primo e del Terzo -e Quarto- Mondo (come si usava dire allora, ed oggi non più, perché appunto vent’anni sono passati).

E cosa ci sta dimostrando, seppur molto più in sordina oggi, l’epidemia da Sars-Cov-19 o Covid-19? Che proprio i Paesi più svantaggiati, meno ricchi e con minori risorse e meno peso politico nel mondo stanno pagando un prezzo altissimo andando incontro all’epidemia del tutto disarmati e senza che i paesi ricchi si stiano davvero preoccupandosi di loro, delle loro genti, delle loro sorti. Potremmo fermarci qui per dire con tranquillità che quelle istanza erano già allora fondate e capaci di tracciare un triste -eppur poi realizzatosi- scenario di futuro mondiale possibile.

G8 di Genova farà pensare a tanti ad alcune piccole singole cose. Una foto delle grate che dividevano le zone di pericolosità nella Città di Genova: zona bianca o verde, zona gialla, e zona rossa, quella davvero inaccessibile e dall’accesso occluso al transito di ogni tipo a terra, salvo i convogli presidenziali degli 8 Stati.
O farà pensare alle sempre impressionanti immagini di quel ragazzo, Carlo Giuliani, manifestante rimasto ucciso negli scontri di Piazza Alimonda del 20 luglio. Magari più probabilmente alle aperture delle edizioni straordinarie dei tg di quel giorno per riportare il fatto.
O ancora all’assalto delle forze dell’ordine alle ex-Scuole Diaz, dove i manifestanti, allora lì riuniti per la notte tra il 21 e il 22 luglio, subirono trattamenti di violenza a tal punto inaudita da dover intervenire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che nel 2015 sancì infine esser stati compiuti atti equiparabili alla tortura, reato allora ancora non esistente nel sistema giuridico italiano, ed introdotto solo a seguito di un lungo iter parlamentare nel 2017.
Infine -ma solo per esigenze di spazio- alle immagini da saccheggio e devastazione perpetrate da gruppetti incappucciati spesso in tinta nera (‘black block’) infiltratisi nella manifestazione, che misero il quartiere della Foce a ferro e fuoco, sfondando vetrine e negozi, incendiando cassonetti, auto e mezzi delle forze dell’ordine, e altre azioni di guerriglia urbana.

Irrimandabile una serie di eventi a Genova, luogo simbolo e per sempre associata a quell’evento e a quei fatti. Ma non solo: anche a Milano, Padova, Bologna, Roma e sparsi in tutta Italia. Perché ancora è difficile leggere quell’evento.
Quelle istanze ricordate all’inizio erano supportate da correnti di pensiero e di azione anche diametralmente opposti: quello che poteva diventare un fervido e fecondo serbatoio di confronto e nuove idee, a Genova deflagrò in tutta la sua virulenza.

Alcuni potrebbero dire che il sogno di un nuovo centrosinistra, di una vera Terza Via, di una conciliazione e mediazione tra istanze di tradizione progressista con quelle di provenienza cristiana moderata andarono in frantumi proprio lì.

Ciò che forse oggi possiamo almeno pretendere sia ormai atto dovuto per tutte le persone che parteciparono, a vario e diversissimo titolo, a quel G8 è l’affermazione che ogni evento ebbe ed ha una sua identità e singolarità. Non si possono unire in una lettura semplificativa e semplificistica gli scontri di piazza, gli atti di “macelleria messicana”, le decisioni prese, le istanze portate e gridate a gran voce dai manifestanti. No. Nessun singolo atto può “giustificare” o “compensare” un altro solo perché svoltisi gli uni a brevissima distanza dall’altro.

E pare essere anche questo il senso delle parole di Orlando Botti, ex ispettore di Polizia di Imperia, nel ricordare il quarantennale della smilitarizzazione della Polizia: “quella riforma a Genova e’ stata tradita. Assurdo, oggi, parlare ancora di mele marce: purtroppo non sono solo mele marce e le scuse per i fatti di Genova da parte dell’ex capo della polizia, Franco Gabrielli, non sono sufficienti“. E Botti si riferisce a quelle che solo quattro anni fa furono parole sorprendenti e rivoluzionarie dell’allora Capo della Polizia: “La nottata non è mai passata. A Genova morì un ragazzo. Ed era la prima volta dopo gli anni della notte della Repubblica che si tornava ad essere uccisi in piazza. A Genova, un’infinità di persone, incolpevoli, subirono violenze fisiche e psicologiche che hanno segnato le loro vite. E se tutto questo, ancora oggi, è motivo di dolore, rancore, diffidenza, beh, allora vuol dire che, in questi sedici anni, la riflessione non è stata sufficiente. Né è stato sufficiente chiedere scusa a posteriori. […] A Genova saltò tutto. E saltò tutto da subito. […] se parliamo di responsabilità sistemiche e dunque vogliamo storicizzare finalmente il G8 di Genova, io non penso che il singolo agente o funzionario possano funzionare da fusibile del sistema. E che, dunque, in caso di corto circuito, si possa semplicemente sostituire quei fusibili che si sono bruciati e poi serenamente dire “andiamo avanti”. Lo ripeto. Se vogliamo costruire una memoria condivisa su Genova, se vogliamo mettere un punto, va colmato lo spread fra responsabilità sistemica e responsabilità penale.

Ad ulteriore sostegno le parole di questi giorni dell’allora Ministro degli Interni, il ligure Claudio Scajola, oggi Sindaco di Imperia, che così ha dichiarato ai giornali: “Polizia necessita di maggior selezione e formazione, alla Diaz fatti in nessun modo giustificabili”.

Ed è sempre a partire dalle parole di Franco Gabrielli che si deve affermare quanto la responsabilità di quei fatti nemmeno stia nella Polizia o nelle forze dell’ordine. Sarebbe egualmente autoassolutorio, non tanto per le istituzioni, quanto per…tutti noi.
Sì, davvero tutti noi: perché l’errore nacque dalla tentazione -del tutto umana, siamo tali tutti noi- di abusare del proprio potere, della propria forza, o per affermare “la pace” o per “farsi vendetta” dello schiaffo di immagine subito. Ma facciamo attenzione nell’esprimere giudizi.

Forse la vera opera di attualizzazione e rilettura di quel G8 di venti anni fa a Genova è provare a metter alla prova sé stessi.
Come ci comporteremmo se avessimo la consapevolezza di portare avanti le giuste istanze avendo la percezione di non esser ascoltati quando non addirittura umiliati, sedati, calpestati? Specularmente, come ci comporteremmo se avessimo il potere dell’esercizio pieno e quasi incontrollato della forza, degli strumenti del controllo e dell’ordine avverso manifestanti fastidiosi e in qualche frangente passibili di definizione di “ribelli”, “antagonisti”?

Rompiamo anche questa dicotomia. Proviamoci. Perché davvero la Storia e la Politica poco, pochissimo, forse nulla hanno a che fare con le dinamiche del tifo, come quello calcistico, che tanto piacciono a noi italiani neo campioni d’Europa.
Perché nel calcio chi vince è dalla parte della ragione, diciamo così, sì.
Ma nella vita, nella Storia, nei fatti veri di attualità e di rilevanza politica, ma chi è che vince? E chi è che ha ragione? Quanto “vittoria” e “ragione”, se esistono in politica, coincidono?

Proviamo a trovare il coraggio di affermare i nostri limiti come persone. Primo passo forse verso un cammino di consapevolezza e riconciliazione tra le infondate fazioni avverse, mentre le sfide del cambiamento climatico, delle disuguaglianze e della tenuta della democrazia sembrano ancora più accese e a rischio di esito sfavorevole.

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