Abbiamo ignorato Lettonia e Bulgaria, ma in Europa contano come noi

Lettonia e Bulgaria, come l'Italia, sono andate al voto negli scorsi giorni, eppure le abbiamo quasi ignorate. Hanno meno abitanti di noi ed economie meno pesanti, però lo stesso peso nelle decisioni di livello europeo. E magari c'è un anche nuovo alleato per Giorgia Meloni Presidente del Consiglio.

Le giustificazioni ci possono ben essere tutte. Innanzitutto c’erano le nostre elezioni politiche nazionali, su cui l’attenzione tutta della stampa nostrana -e non solo, viste le implicazioni internazionali ed europee di questo appuntamento- si è concentrata, e di conseguenza il nostro focus di informazione.

La Lettonia ha poco meno di 2 milioni di abitanti, la Bulgaria poco meno di 7, l’Italia 60 milioni.
L’Italia si estende per 300mila kmq, la Bulgaria per 110mila, la Lettonia per 64mila.
Il PIL pro capite (PPA) della Bulgaria è di 23mila dollari, quello della Lettonia di 29mila, l’Italia si attesta a 41mila.
I tre paesi sono quindi assai diversi e, in base ai criteri adottati, per un verso poco raffrontabile e per un altro potremmo dire su livelli diversi su un ipotetica scala gerarchica.
Eppure…

Eppure a livello di Unione Europea, nella fattispecie a livello di decisioni europei, in particolare al tavolo dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea, quindi del Consiglio Europeo e di conseguenza dei vari consigli europei interministeriali (per dirne uno su tutti il tanto sentito “ECOFIN”, cioè il Consiglio Europeo di Economia e Finanze” costituito dal plenum dei Ministri dell’Economia e delle Finanze degli Stati membri dell’Unione Europea), tutti e tre gli Stati sono equipollenti: il loro voto singolo ha lo stesso peso, lo stesso valore e, in senso opposto, la stessa capacità di veto.
Esiste infatti, ancora e fino a nuove decisioni -auspicate ed auspicabili-, la regola dell’unanimità nelle decisioni a livello europeo. Questo meccanismo rende fortissime ed irreversibili le scelte compiute a livello europeo, ma per il verso opposto le rende davvero difficilmente traguardabile.
In un sistema di stati, culture, economie, politiche e interessi così ampi e differenti, facilmente cozzanti, il sistema del voto all’unanimità ovvero del diritto di veto diventa un ostacolo all’addivenire ad una decisione quale che sia, se non di fatto debole e neutrale.

Ciò però rende appunto parimenti valevole il voto di Stati come Germania, Francia, Italia quanto appunto di Lettonia e Bulgaria.
Ed è allora per questo motivo utile conoscere gli esiti delle elezioni di questi Paesi, così da sapere indicativamente verso quali orizzonti politici anche i vertici di quei Paesi indirizzeranno le proprie scelte.

In Lettonia ha vinto, confermando la propria posizione precedente alle elezioni, il partito di centro destra filo occidentale (Jauna Yenotiba = “Nuova Unità”) della premier Krisjanis Karins, mentre il partito sostenuto dalla popolazione di lingua e cultura russa, quindi diciamo filo russo, Saskana (= “Armonia”), risulta sconfitto al punto di rischiare di non entrare nemmeno più in Parlamento pur essendo stato nel 2018 il partito di maggioranza relativa nel Paese. Un tassello positivo per il fronte europeista. Il partito Armonia, il cui principale esponente è l’ex-Sindaco di Riga ora eurodeputato, ha però apertamente condannato l’aggressione russa all’Ucraina. In Lettonia non c’è grande simpatia per il leader di Mosca.
Infatti i primi tre partiti come risultato elettorale, che si avviano a formare un governo di coalizione, sono fermi nel sostenere il mantenimento delle sanzioni internazionali alla Russia.

Della Bulgaria si è parlato forse un poco di più, ma per evidenziare la bassissima affluenza alle urne: ferma al 35%. Forse merita almeno anche accennare che sono state le quarte elezioni politiche nazionali in due anni (ben 3 nel 2021: ad aprile, luglio e novembre): segni questi sia di instabilità sia di sofferenza per la popolazione nell’essere continuamente chiamata al voto.
Le elezioni hanno restituito una vittoria, l’ennesima sebbene in costante discesa, per il partito conservatore GERB (“Cittadini per lo Sviluppo Europeo della Bulgaria”) di Boiko Borisov, già Sindaco della capitale Sofia e già alla guida della Bulgaria come Primo Ministro dal 2007 ad oggi, con alcune brevi interruzioni di governi guidati dagli avversari socialisti, ultimo dei quali guidato dal perdente Kiril Petkov leader di PP (“Continuiamo il Cambiamento”) da dicembre 2021 ad agosto scorso.
Entrambi i partiti sono europeisti, sebbene di ideologie contrapposte, mentre ad essere meno netto è il Presidente della Bulgaria, Rumen Radev, indipendente, già generale dell’esercito, eletto una prima volta nel 2017 e poi confermato nel 2021, sostenuto dal Partito Socialista Bulgaro, che ora probabilmente non sarà poi troppo insoddisfatto dell’ascesa nel proprio Paese dei partiti filorussi: la somma dei delegati di “Rinascita”, “Ascesa Bulgara” e appunto Partito Socialista Bulgaro ammonta a 64 deputati su 240 totali, pari a ¼ dell’Assemblea Nazionale.

Se in Lettonia spira forte il vento europeista, in Bulgaria come in Italia il vento invece è contrario. Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro in chiave europea ed europeista? Forse una alleanza nuova per l’Italia? Nel caso un alleato per la Presidente del Consiglio Meloni potrebbe esserci proprio a Sofia, difficilmente a Riga.

In chiave europea ogni Stato conta uno, ciascuno uguale agli altri: ecco il potere ed il diritto di veto. I più entusiasti europeisti chiedono sia levato e superato, per andare verso il voto di maggioranza. Chi invece dell’Europa non vuole molto sentire ragione il diritto di veto lo vuole certamente conservare. Anche questa sarà una battaglia oggetto di discussione nei prossimi anni.

 

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