Cosa è cambiato ad un anno dall’entrata in vigore del taglio dei parlamentari?

Spoiler: nulla! La misura, nata su moto emotivo e demagogico, non ha portato alcun beneficio: come avrebbe potuto? Da sola non sarebbe bastata, e infatti nulla è cambiato.

Il weekend del 20 e 21 settembre 2020 siamo stati chiamati ad esprimerci al referendum costituzionale confermativo sul “taglio dei parlamentari”, ovvero sulla modifica della Costituzione agli articoli 56 e 57, che indicano il numero dei Deputati e dei Senatori. Se prima questi erano rispettivamente 630 e 315 per un totale di 945, la riforma proponeva (ed ha ottenuto tale modifica) scendessero rispettivamente a 400 e 200 per un totale di 600 parlamentari.

In allora la battaglia per il “taglio dei parlamentari” era cavalcata da alcuni partiti -il Movimento 5 Stelle- che ne avevano fatto uno dei propri cavalli di battaglia sin dalla propria fondazione, sostenuta timidamente da chi comunque non disdegnava una qualche forma di critica generica ‘verso Roma’, non osteggiata dalla maggior parte poiché ritenuto controproducente schierarsi contro il “taglio” sapendo che sarebbe stato necessario spiegare lungamente tutte le buone o almeno ragionevoli motivazioni avverso di esso.

E così, ora, siamo qui: a poco più di 1 anno dalla applicazione del taglio dei parlamentari, entrato in vigore con l’inizio della nuova XIX Legislatura della Repubblica, iniziata diciamo col voto delle elezioni politiche del 25 settembre 2022, nonché ad 1 anno dall’entrata in carica del Governo Meloni (22 ottobre 2022) che ci hanno restituito quindi un Parlamento composto da 400 Deputati e 200 Senatori, ma del cui operato non si rileva alcun significativo cambiamento rispetto al passato, tanto meno in meglio.

Una delle motivazioni più sentite a favore del “taglio” era che la riduzione avrebbe reso la persona eletta più vicina e più nota agli elettori: ma vi pare davvero sia successo? Più di prima poi?

Una motivazione, simile, era che si sarebbe potuto vigilare più e meglio sull’operato dei parlamentari. Ah, sì? Davvero? Lo abbiamo fatto? E se sì, ciò ha contribuito all’efficienza delle persone elette?

Forse la cosa più demoralizzante è che di questo tipo di analisi non c’è alcuna traccia, come se ci fossimo dimenticati di ciò che è avvenuto tre anni fa, del taglio compiuto e della sua attuazione. Come se nulla fosse successo.
E forse basterebbe ciò a dire “ma che lo abbiamo fatto a fare?”.

Al di là altre possibili considerazioni, restano i dati.

Come riportato da Openpolis -autorevole centro studi sul piano parlamentare-, il 56% delle leggi approvate dal Parlamento sono leggi di conversione di decreti legge: mai era stata così alta rispetto al totale complessivo dei provvedimenti approvati, cioè tutti gli altri Governi precedenti avevano influenzato in maniera minore il lavoro del Parlamento, che era stato capace di determinare maggiormente il flusso legislativo e normativo in generale.
Anzi, se mai forse il ‘taglio’ potrebbe aver determinato questo risultato?

Dicevamo il 56% cioè un totale di 39 leggi di conversione di decreti legge su 52 provvedimenti approvati: e pensare che ben 4 decreti legge sono decaduti perché non convertiti in tempo! Dal 2008 ad oggi solo 3 governi su 9 hanno prodotto più di decreti legge al mese, ma gli altri due -oltre al Governo Meloni- sono i Governi Conte II e Draghi, nati e viventi non certo su maggioranze stabili e chiare cioè uscite da un voto.

Peraltro di questi 39 leggi di conversione, 11 sono conversione di decreti omnibus, vale a dire testi non omogenei al loro interno, con dentro “di tutto e di più”, quindi evidentemente poco oggetto di lavoro parlamentare, se non di ‘manine’ e aggiunte di ogni sorta senza alcun quadro di azione politica.

Solo il 19% dei provvedimenti (pari a 10 leggi) approvati sono leggi ordinarie, e magari non per forza di iniziativa parlamentare, spesso infatti di iniziativa governativa. Solo coi Governi Letta e Conte II è andata diciamo “peggio”.

Ecco, che bilancio trarre?
Non c’è alcuna analisi o studio al momento che verifichi come e quanto sia cambiata l’azione dei parlamentari.
Ciò che emerge dalla lettura dei dati è che nulla è cambiato: né nello stile dei parlamentari, né nel loro lavoro, né nella qualità o peso del loro lavoro.

Forse, davvero, la cosa più triste è che… “la democrazia crolla sotto scroscianti applausi”: visto come è andata, come si potrà dire ‘no’, domani, tra un anno o due, quando si dirà ‘tagliamo della metà i parlamentari’ o ancora ‘tagliamo una camera di netto’, o infine ‘e tagliamolo tutto ‘sto Parlamento, tanto sono tutte leggi di iniziativa governativa quella che approviamo!’.

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