Zéelighen Baiblen

Si narra che lungo i crinali della Val d’Assa vivessero le Zéelighen Baiblen, dette anche Beate Donnette, amabili fatine di bassa statura che vestivano tutte di bianco e abitavano nelle caverne naturali. Nel bosco, le fatine avevano stretto un buon rapporto di amicizia con gli animali selvatici, con i quali riuscivano anche a dialogare utilizzando una lingua incomprensibile dagli umani.
Le Zéelighen Baiblen dispensavano spesso utili consigli a boscaioli e contadini, che tenevano da conto i preziosi suggerimenti ricevuti.

Le fate trascorrevano le loro giornate a districare la lana, andando a creare dei gomitoli che venivano donati agli umani onesti e meritevoli ed avevano la caratteristica di non esaurirsi mai; buone ma molto permalose, le fate punivano coloro che deludevano la loro fiducia.
Una leggenda di Mezzaselva narra che un giorno una donna ambiziosa si presentò alle fatine chiedendo loro un gomitolo di lana per confezionare un abito per il proprio marito, che sarebbe diventato governatore del paese. Le Beate Donnette acconsentirono a darle un gomitolo tutto dorato, ma ad una condizione: avrebbe dovuto lavorare la lana senza mai lamentarsi. La donna ringraziò le fate e iniziò subito a preparare il vestito del marito. Il giorno seguente, il marito si trovava nella sala della cerimonia e riceveva i complimenti per il suo magnifico abito. La moglie invece era rimasta a casa perché doveva continuare a filare, ma dopo ore e ore il gomitolo ancora non era finito e la donna, ormai stanca, presa da un impeto di ira lo scagliò a terra inveendo contro le fate che l’avevano costretta a quel supplizio. In quello stesso istante il gomitolo scomparve come per magia e con esso svanì anche il vestito del marito, il quale si ritrovò in mutande e subito venne deriso da tutti i presenti. Questo, a dimostrazione del fatto che la troppa ambizione può causare delle complicazioni.

Ma le Zéelighen Baiblen avevano anche dei nemici, dei quali spesso cadevano vittime: i malvagi Jigerjäger, uomini selvaggi che le cacciavano. Una storia narra come le fatine siano riuscite a sfuggire agli Jigerjäger arrampicandosi su delle ceppaie incise con tre croci. Queste ceppaie, residuo di un taglio del bosco, servivano a spaventare con le loro croci gli Uomini Selvaggi. La vicenda narrata si svolge in un luogo chiamato bosco de “i Stella” a Cesuna.

Al Monte Verena è legata la storia di una dolce fanciulla zoppa che rifocillò due piccole Beate Donnette e diede loro un riparo. Come ricompensa, le fate consigliarono alla fanciulla di vivere su quella montagna solo d’estate e di salutare il sole ogni mattina con una formula magica. La ragazza, seguendo il loro consiglio, divenne bella e sana. Non contenta della sua seducente bellezza, però, la fanciulla ritornò ancora sul monte Verena disubbidendo all’ordine delle fate che, non contente di questo incontro, la fecero scomparire.

Un’altra leggenda narra che Gritt-Grott e Schicka-Schaicka erano due fate che vivevano all’interno di una cavità chiamata Kèrkle ma, quando la guerra giunse sulle montagne dell’Altopiano, decisero di andarsene in altri territori più tranquilli. La grotta Kèrkle rimase protagonista di altri racconti: si narra che in questa cavità venissero gettati i corpi dei delinquenti macchiati di orrendi assassinii, quindi non degni di essere seppelliti al Camposanto.

Alcune leggende raccontano che queste fate abitassero nella zona chiamata Banchette o Panca di Rotzo. Il nome del luogo è dato dalla particolare conformazione geologica della roccia, formando delle stratificazioni somiglianti alle panche coperte.
Uno dei racconti ambientati a Rotzo parla di un carrettiere con un cavallo bianco che si sta recando sull’Altopiano quando, durante il tragitto, viene fermato da una delle Zéelighen Baiblen. La fata chiede all’uomo di portare un messaggio alla sua compagna Badis-Badus, che lavora alla locanda di Castelletto, per darle la notizia che Gritt-Grott era morta. Proseguendo per la sua strada, il carrettiere giunto a Castelletto si ricorda del favore chiesto dalla fata grazie al cavallo che si rifiuta di proseguire il cammino. All’annuncio del messaggio, la Beata Donnetta corre di tutta fretta verso le Banchette dicendo: “O meine libe mutar! O meine libe mutar!”. Da quel giorno, non si sono più viste le piccole fatine.


 

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