Le acque di Fukushima: un problema omeopatico

Ci risiamo. Dopo anni di discussione, il governo giapponese ha finalmente preso una decisione definitiva per quanto riguarda la gestione delle acque contaminate che attualmente sono stoccate presso la centrale di Fukushima Daiichi: verranno rilasciate gradualmente nel Pacifico a partire dal 2023, dopo essere state diluite. Apriti cielo, come ogni volta che si tocca l’argomento del nucleare. Innumerevoli media italiani e stranieri hanno dato la notizia come se si trattasse del più grave danno ambientale dai tempi di Chernobyl, ma numeri e dati alla mano c’è veramente ben poco di cui preoccuparsi. Facciamo quindi chiarezza.
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Dopo il tragico incidente del 2011, i reattori danneggiati vengono tenuti a una temperatura di sicurezza grazie al passaggio di un flusso d’acqua continuo. Acqua che ovviamente viene contaminata dai prodotti di fissione radioattivi lì presenti. La contaminazione dell’acqua impone che questa venga sostituita periodicamente. Una volta usata, l’acqua viene quindi stoccata in cisterne dopo essere stata immessa in un sistema di purificazione che ne rimuove gli elementi radioattivi entro i limiti di legge. L’unico radionuclide che non può essere eliminato è il trizio, un isotopo dell’idrogeno. Il problema è che non possiamo accumulare cisterne all’infinito: lo spazio sta già per terminare. Tenere l’acqua lì inoltre non sarebbe sicuro, dal momento che un sisma futuro potrebbe provocare un rilascio massiccio e diretto di acqua radioattiva nell’ambiente.
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Una volta trattata, l’acqua di Fukushima ha mediamente un’attività da trizio di circa 1 milione di Bq/l, cioè 1 milione di decadimenti radioattivi al secondo per litro. Ricordiamo che la radioattività del trizio è davvero poco rischiosa per la salute umana: a oggi non è noto NESSUN CASO di danno alla salute causato da questo elemento. Anche se ingerito con l’acqua, la sua emivita nel nostro organismo è di appena 10 giorni e la radiazione beta emessa non è abbastanza energetica per danneggiare gli organi interni. Chiaramente le concentrazioni di Fukushima rendono quelle acque non potabili, ma non stiamo parlando di una barra di plutonio fluorescente: se bevessimo un litro di acqua di Fukushima assorbiremmo una dose di radiazione pari alla metà di quella che prendiamo facendo una radiografia al torace o prendendo un aereo per New York.
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Per sicurezza, comunque, l’acqua contaminata verrà diluita di almeno 500 volte prima di essere rilasciata, arrivando fino a 1500 Bq/l. Siamo praticamente ai livelli dell’omeopatia, o poco ci manca. Per avere un confronto, il limite di potabilità suggerito dall’OMS è di 10.000 Bq/l. L’acqua di Fukushima sarà quindi legalmente POTABILE in molti Paesi del mondo nel momento in cui verrà rilasciata nell’oceano. Inoltre, per minimizzare ulteriormente il rischio lo sversamento avverrà nell’arco di diversi anni e al largo (lontano dalle zone di pesca e allevamento costiere). Una task force del governo nipponico ha stimato che la dose di radiazione rilasciata in seguito all’operazione sarà almeno TREMILA volte inferiore a quella dovuta alla radioattività naturale assorbita quotidianamente dai giapponesi.
Sembra proprio, quindi, che non ci sia davvero alcun motivo per fare terrorismo psicologico. La questione è estremamente delicata ma la soluzione, per quanto non innocua, rappresenta decisamente il male minore. Varie altre opzioni sono state scartate dal governo giapponese perché avrebbero prodotto dosi di radiazione ben maggiori. Questo perché la natura già ci fa vivere in ambienti radioattivi e ci circonda di prodotti radioattivi: pensate alle banane, che contengono potassio-40 decisamente più radioattivo del trizio. O luoghi come piazza San Pietro, Orvieto o tutto il viterbese, posti che per natura hanno una radioattività più alta della media e molto più alta delle acque di Fukushima.
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Vogliamo dirlo molto chiaramente e una volta per tutte: il problema delle acque di Fukushima NON è ambientale o sanitario, ma DI IMMAGINE per l’industria ittica nipponica, già duramente provata dall’incidente di Fukushima, che teme di veder crollare la vendibilità del proprio pescato nonostante questo continuerà a rimanere sicuro per la salute. Ciò avviene perché la popolazione si spaventa facilmente quando si parla di nucleare, e lo fa perché queste questioni vengono tratte spesso e volentieri in modo quasi terroristico. Per questo occorre oggi più che mai ribadire l’importanza cruciale di un’informazione scientifica corretta e accurata, possibilmente scevra da sensazionalismi d’accatto acchiappaclic.
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Filippo Bonaventura per Chi ha paura del buio?
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