Tante criticità nella gestione del PNRR per i tutti i comuni e in particolare per i piccoli comuni montani

In contrasto con la logica del "fare squadra", il lavoro del Governo per un verso premia l'azione del singolo Comune e per l'altro ora mette a rischio l'arrivo di 13,5 miliardi di fondi, senza chiarire se e dove si reperiranno in alternativa.

Che la gestione di quella copiosa cascata di fondi europei tra PNRR e Fondo Complentare-, messi in piedi dalla Commissione Europea quale capofila all’indomani della crisi per la pandemia da Covid-19 e che ora prosegue sebbene mutata per la guerra in Ucraina, non sarebbe stata semplice né rapida lo si sapeva sin dall’inizio. E quindi, a maggior ragione, ci si sarebbe aspettati maggiore impegno in termini di lavoro e maggiore impiego di risorse umane preparate e competenti. Invece, almeno da parte dei Comuni montani, si registrano diversi aspetti di insoddisfazione.

Lasciando per un momento da parte i due aspetti, preliminarmente pare utile indicare alcuni elementi di contesto, sottolineati da servizi di studi e approfondimenti sul PNRR e la sua attuale messa a terra.
Tra gli interventi che hanno destato maggiore scalpore vi è il definanziamento da parte del Governo di ben 9 misure previste nel piano del PNRR fino all’ultima revisione presentata lo scorso mese, anche di fronte alle Camere. “Un simile taglio avrebbe un impatto particolarmente significativo per gli enti locali, che arriverebbero a perdere oltre 13,5 miliardi di fondi già assegnati”, segnala fondatamente preoccupata OpenPolis.

Il primo aspetto di insoddisfazione coglie i fondati timori e le forti preoccupazioni comuni a tutti gli oltre 8mila Comuni italiani: lo stop dei fondi o anche solo il loro ritardo, se non integrato per tempo da altri enti in sostituzione, comporterà un immediato ed ovvio ritardo nella consegna delle opere finite. E ricordiamoci che la scadenza per tutte le opere finanziate dal PNRR (attuazione del piano europeo Next Generation EU) resta fissato a dicembre 2026.

Su questo aspetto il Governo nazionale ha garantito i fondi arriveranno, e arriveranno tutti, entro la fine di questo anno, e ciò è bene. E però da oggi a dicembre ne passano di mesi e quindi di lavori e cantieri che potrebbero doversi fermare non avendo i fondi per partire o proseguire.

In tal senso UNCEM – Unione Nazionale Comuni ed Enti Montani-, oltre a evidenziare le proprie conseguenti preoccupazioni, propone una soluzione-ponte: “un intervento con Fondo rotativo di 20 miliardi di euro, attivato da Cdp (Cassa Depositi e Prestiti), cui i Comuni possano attingere in base al valore delle opere finanziato da Stato e Regioni.

Per Uncem la continuità di flusso finanziario verso i piccoli Comuni è imprescindibile “sia per non bloccare i Comuni, sia per evitare default e fragilità dei Comuni e degli Enti beneficiari di opere PNRR.
Detta in termini ancora più espliciti: “occorre individuare soluzioni che consentano agli enti beneficiari di interventi del PNRR di non dover anticipare risorse economiche -rischiando indebitamento quando non addirittura il default- per pagare imprese e ditte che eseguono i lavori.

In base ai dati forniti da ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), prima della presentazione della proposta di revisione del governo, gli investimenti destinati dal PNRR agli enti locali ammontavano a circa 40 miliardi di euro totali. La maggior parte dei quali peraltro – 36 miliardi – sono stati già assegnati attraverso bandi e avvisi pubblici.
Anche il più piccolo (e in burocratese ‘piccolo’ può ben equivalere a ‘mesi’) ritardo sarebbe funesto.

E’ peraltro innegabile -che il Governo nemmeno ci provi a dirlo!- che Comuni ed Enti Locali si sono prontamente attivati ed hanno corso sin dal primo istante, pur di vedersi riconoscere e cadere sul proprio territorio tutti i fondi disponibili. “Il dato di aprile 2023 parla di 41 mila gare già bandite dai Comuni nell’ambito di progetti PNRR. L’analisi dello stato di attuazione del Piano nella prospettiva di una sua parziale revisione mostra dunque come gli investimenti di Comuni e Città Metropolitane non presentino ritardi e criticità tali da giustificare l’ipotesi di una loro riprogrammazione.”: così recita il report Missione Italia 2021-2026, pubblicato da Anci il 5 luglio 2023.

Il secondo aspetto di insoddisfazione per Comuni ed Enti Locali -meno dibattuto e a cui poco peso, purtroppo, si è ancora dato- è di natura e spirito prettamente comunitari e di coesione territoriale, ed è sempre UNCEM a denunciarlo.

Abbiamo una ottima legge, tra le migliori in Europa in materia, che si occupa della gestione dei piccoli Comuni: è la n.158 del 2017, eppure viene o disattesa del tutto o impropriamente applicata.

Forte è l’allarme di UNCEM: “la norma monta un Piano nazionale, con un bando appena aperto, che interviene in modo negativo, relativo e minimalista, mettendo oltre 5500 Comuni tutti contro tutti. In scontro. Non perché si premieranno pochi progetti, ma perché la logica alla base del bando è divisiva e non di cucitura.

E ciò pare perfino in contrasto con uno dei criteri portanti il PNRR/Next Generation EU: la coesione territoriale e sociale, l’azione perequativa tra aree privilegiate e aree svantaggiate. Stando alle parole di UNCEM, l’azione del Governo si pone quindi in contrasto con questo che è una delle principali linee guida del piano europeo di ripresa.

Quelli scelti ed indicati dalla Commissione Europea sono quelli che “Uncem ha sempre sostenuto quali valori veri del Paese e dei paesi. Piccoli e grandi Comuni devono lavorare insieme, devono darsi una strategia comune, uniti, più forti. Non bastano i soldi, che sembrano tanto comodi e facili. Contro le sperequazioni sociali, territoriali, tra aree montane e rurali, si lavora insieme. I Comuni piccoli generano comunità insieme. E la comunità è più forte di ogni opera, più forte di ogni stanziamento di 160 milioni che verranno divisi in pochi progetti da 700 mila euro. Le premialità messe per Unioni e convenzioni che faranno progetti insieme sono banali, futili, relative, occasionali.

In conclusione, da parte di UNCEM, Unione dei Comuni e degli Enti Montani, c’è la fiduciosa ed esplicitata attesa in una chiara virata nella azione di Governo, capace di indicare una strategia di azione che non si fondi sull’individualista “si salvi chi può” ma su un comunitarista “ci si salva solo assieme”.

Non si può non ricordare ed evidenziare che Roma, Napoli e Milano e il loro hinterland siano i singoli territori beneficiari della maggior parte dei fondi europei. Ciò è comprensibile per motivi lapalissiani, quantomeno in termini quantitativi.
Specularmente però non si può non portare all’attenzione di tutti che se consideriamo la percentuale di fondi “persi” rispetto a quanto inizialmente previsto, il danno più significativo lo registrano le certamente non centrali -con diverse accezioni- province di Pistoia (-67,7%), di Biella (-66,7%) e di Alessandria (-65,1%). Con un ulteriore ed evidente ingiusta sperequazione -peraltro altrettanto contro i principi cardini e portanti del PNRR- tra aree già avvantaggiate ed altre periferiche sotto diversi punti di vista.

Da ultimo, viste le repliche del Ministro competente sul PNRR ed i fondi europei nel senso della volontà di reperimento delle risorse promosse, quantunque da altra fonte finanziaria, è lo stesso Servizio Studi di Camera e Senato che nel proprio dossier ad hoc del 31 luglio scorso ha sollevare esplicite perplessità: “Si sottolinea come il Rapporto [del Governo alle Camere, ndr] non specifichi quali saranno gli strumenti e le modalità attraverso i quali sarà mutata la fonte di finanziamento delle risorse definanziate dal PNRR.

Il Governo è quindi atteso al varco, su tutti questi aperti fronti di battaglia.

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