La “politica oracolare” di Draghi: nuovo stile politico, con qualche rischio

«Chiamiamoli per quelli che sono: dittatori»: questa frase del Presidente del Consiglio Mario Draghi ha fatto il giro del mondo, rimbalzata su tutti i media, online e di carta, è certamente già passata alla storia.
E tutti davvero ormai conosciamo almeno una o due altre ‘sentenze‘ storiche di Draghi: «Euro is irreversible» e l’ormai sempiterno «whatever it takes».

Ecco: più che per le cose fatte (tante e bene), di Mario Draghi si ricordano (e si ricorderanno, vedrete!) le brevi frasi che ben si possono dire ‘da scolpire nella pietra’: una sorta di moderne ‘sententiae‘ latine, frasi brevi, di poche parole, ma che centrano in pieno la questione e risuonano a lungo.

Quel whatever it takes, lo abbiamo ormai tutti imparato a memoria, “ha salvato l’Euro” si dice immediatamente dopo. E davvero è stato così, molto più e molto prima di tutte le politiche bancarie di quantitative easing poi messe in campo (o anche no!) dalla Banca Centrale Europea a guida Mario Draghi.
Perché questo è un altro punto: oltre al tono secco e alla scelta non casuale di parole chiare e univoche, è la sentenza stessa a produrre almeno una parte consistente degli effetti desiderati da Draghi che la pronuncia. Il solo fatto di pronunciare quella frase, la realizza, ne comincia già di per sé a produrne gli effetti. Ecco cosa come intendiamo quando parliamo di “politica oracolare”.

Andiamo un momento a rivedere quel frammento passato alla storia.
E’ il 26 luglio 2012, lo spread è ormai diventato convitato alle cene di fronte alla tv di tutti gli italiani, tanto che l’inverno precedente è caduto il Governo Berlusconi IV e si è insediato il Governo Monti, nel pieno della crisi europea dell’euro, anche detta “crisi del debito sovrano”.
Mario Draghi, allora Presidente della Banca Centrale Europea (BCE o ECB secondo la sigla nella dizione inglese cioè europea), si trova sul punto di decidere quali politiche monetarie e fiscali varare al fine di salvaguardare l’equilibrio economico almeno dell’Area Euro (i Paesi dell’Unione Europea che hanno adottato l’Euro quale propria moneta). Draghi allora, intervenendo alla Global Investiment Conference di Londra, pronunciò la fatidica frase: «Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. [Pausa ad effetto, ndr] And believe me, it will be enough», ovvero in italiano: «Nell’ambito del nostro mandato, la BCE è pronta a salvaguardare l’euro ad ogni costo. [Pausa ad effetto, ndr] E credetemi, sarà sufficiente». Fu la svolta in positivo necessaria e desiderata: i mercati finanziari, lo spread, tutti i titoli degli Stati membri ne risentirono all’istante non appena la frase venne pronunciata.

Quella frase di Draghi era l’annuncio delle nuove politiche della BCE: di fronte a una crisi di sistema inaspettata e divenuta virale, si decise di mettere in campo “misure non convenzionali”, ossia misure anche al di là di quanto previsto strettamente dai Trattati dell’Unione Europea adottati da e tra gli Stati membri. Si trattava delle cosidette OMT (Outright Monetary Transactions letteralmente “operazioni definitive monetarie”) annunciate dal Consiglio direttivo della BCE il successivo 2 agosto 2012 e quindi adottate il 6 settembre 2012.

Ora non è davvero importante ricordare che il loro obiettivo fosse quello di scongiurare il default finanziario di uno qualsiasi degli Stati membri dell’UE (e l’Italia era indiziato speciale), rendendo di fatto impossibile o almeno altamente improbabile che forti tensioni sui mercati dei titoli di Stato (detti anche mercati del debito sovrano) portassero a innalzamenti eccessivi dei tassi di interesse, tali da impedire a banche e imprese di finanziarsi a condizioni economicamente sostenibili, cosa che avrebbe ulteriormente accelerato la spirale recessiva del paese interessato.

Così come ora possiamo tralasciare il fatto che le OMT causarono uno scontro tra Corte di Giustizia dell’Unione Europea e Corte Costituzionale Tedesca, conclusasi peraltro solo lo scorso anno.

Ciò che qui preme evidenziare è che quelle misure di politica economica, evidentemente annunciate a viva voce, dal Presidente della BCE, in una sede di primo livello, nel pieno di una crisi macrosistemica grave, non vennero mai utilizzate.
Sì, avete letto bene: le OMT non sono mai state messe in campo dalla BCE. Sono uno strumento approvato dal Consiglio direttivo della BCE, un’arma da impugnare alla bisogna, ma ancora rimaste inattive.

Ecco cosa vuol dire “politica oracolare”. Ecco la lente con cui guardare l’azione politica di Mario Draghi, le sue dichiarazioni e le sue scelte di parole, anzi meglio: di frasi, di ‘sententiae‘. L’uso delle parole, di brevi frasi atto a generare di per sé solo, già effetti politici e di sistema forti ed immediati.
Mario Draghi conosce bene questa forma di “politica non convenzionale”, avendola lui stesso inaugurata, dichiaramente, nel luglio 2013 ancora alla guida della BCE, immediatamente seguito da tutte le Banche degli Stati dell’Eurozona. In ambito bancario si parla di “forward guidance,
o forward policy guidance” in italiano “politica di orientamento futuro
, ed consiste appunto nell’annunciare solennemente quali saranno le future, e più spesso nuove, politiche pubbliche (finanziarie), dandone un risalto tale che lo stesso annuncio genera effetti, pur null’altro avendo fatto. In letteratura, meno frequentemente si parla di “Odyssean forward guidance”: tutti ricorderemo l’episodio dell’Odissea in cui Ulisse ordinò ai propri compagni di viaggio di legarlo all’albero maestro della loro nave appena prima di arrivare davanti agli scogli delle Sirene, spiegando loro anzitempo che non avrebbero dovuto in alcun modo slegarlo benché lui li avrebbe certamente e con ogni mezzo implorati di farlo. “Delphic forward guidance” o “politica delfica di orientamento futuro”, dove “delfico” richiama l’oracolo di Delfi, quello che si esprimeva per sentenze appunto, in senso più implicito di quanto svolto da Draghi. Ed ecco quindi perché l’indicazione della definizione “politica oracolare”.

A partire infatti dal 2012-2013 si è cominciato a parlare di “politica oracolare” certamente in ambito accademico e scientifico, in tanti papers, ricerche e studi di Università, Enti di Ricerca e Banche centrali. Ma anche nella letteratura dal taglio divulgativo: il primo volume in italiano a proporre il tema e la riflessione è stato certamente “Gli oracoli della moneta. L’arte della parola nel linguaggio dei banchieri centrali” di Alberto Orioli, allora ViceDirettore de Il Sole 24Ore, con prefazione di Tullio De Mauro, edito da Il Mulino nel 2016.

Ecco quindi come leggere le parole proposte ad inizio articolo «chiamiamoli per quelli che sono, dittatori» riferendosi al Presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan. L’effetto desiderato (non meglio specificato) è stato raggiunto all’istante, visto per un verso la reazione di Ankara che ha convocato l’ambasciatore italiano nel proprio Paese, e per l’altro verso tutte le cancellerie europee prese di sorprese dalla immediatezza di lessico utilizzata.

Sul piano politico stretto, e non più solo quello monetario, la bontà della adozione della “politica oracolare” è però ancora tutta da vedere, verificare e valutare.
I critici potrebbero dire che sia stata la reazione alla cattiva accoglienza nell’opinione pubblica delle immagini e delle parole pronunciate da Draghi pochi giorni prima in Libia.
Altri potrebbero gioire per la schiettezza di Draghi, che di fatto ha rivelato un segreto di pulcinella agli occhi dell’europeo medio viste e sentite le notizie quasi giornaliere dalla Turchia: un modo di parlare così esplicito e senza mezzi termini potrebbe forse saper intercettare quel consenso popolare sempre richiedente l’abbandono del politichese e dello stile democristiano di esprimersi né carne né pesce?
Non pochi hanno poi notato non solo quel «dittatori», ma anche il successivo «con cui però bisogna collaborare».

Torniamo allora a vedere l’intero passaggio di Draghi alla conferenza stampa dell’8 aprile scorso: «Non condivido assolutamente le posizioni del Presidente Erdogan. Credo non sia stato un comportamento appropriato. Mi è dispiaciuto moltissimo [con enfasi nel pronunciare “moltissimo“, ndr] per l’umiliazione che la Presidente della Commissione von der Leyen ha dovuto subire.

E qui la considerazione da fare è che -e forse la ho già fatta in un’altra conferenza stampa – è che con questi…diciamo, chiamiamoli per quello che sono, dittatori, di cui però si ha bisogno per collaborare, uno deve essere franco nell’esprimere la propria diversità di vedute, di opinioni, di comportamenti, di visioni della società. E deve essere anche pronto a collaborare, a cooperare, più che collaborare, a cooperare per assicurare gli interessi del proprio Paese. Questo è importante. Secondo me bisogna trovare l’equilibrio giusto».

Certamente si tratta di “politica oracolare”: è secco, tranchant, e -come dice lui- dice le cose come stanno, così come sono. Ma appunto: che risvolti può questo stile avere nella politica estera e diplomatica degli Stati e tra gli Stati, all’interno di un codice di comportamento che sappiamo essere dettato da tradizioni, prassi, cortesie più o meno finte, parole di circostanza e understatement del tutto british?

Certamente questo differenzia eccome il precedente nostro “premier tecnico” Monti dall’attuale Draghi.
Cosa ne dirà la storia? “Ai posteri l’ardua sentenza”. Ops, ecco di nuovo: sententia.

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